lunedì 21 giugno 2010

In Spagna, o in Sicilia, o in Libano...

il racconto
Il mio Mediterraneo, un mare eterno
Il sapore delle acciughe e delle sardine è lo stesso che conobbero i marinai diecimila anni fa
Arturo Pérez-Reverte, Corriere della Sera on line, 14 giugno 2010(ultima modifica: 15 giugno 2010)

Ormeggiare un’imbarcazione sotto la pioggia, nell’atmosfera grigia di un porto mediterraneo, suscita, a volte, una strana malinconia. Succede anche oggi. Non c’è sole che riverberi contro i muri bianchi degli edifici, e l’acqua che ti sei lasciato indietro, sfociando in mare, non è blu cobalto a mezzogiorno, e all’imbrunire non ha quel colore di vino rosso nel cui controluce scivolavano, in altri tempi, navi nere dagli occhi dipinti sulla prua. Il mare è grigioverde; il cielo, basso e sporco. Le nuvole scure lasciano cadere una pioggia calma che gocciola sull’attrezzatura e sulle vele serrate, e inzuppa il teck della coperta. Non c’è neppure vento.
Fissi gli ormeggi e ti abbassi il risvolto dei pantaloni, mentre cammini lentamente tra le barche immobili. Bagnandoti. In giorni come oggi, la pioggia contagia una tristezza vaga, indefinita. Fa pensare a fine traversata, a navi prigioniere dei loro cavi, pali e piloni d’ormeggio. A uomini che voltano le spalle al mare, al termine della strada, costretti a invecchiare nell’entroterra, ricordando. Quest’umidità brumosa, impropria del posto e della stagione, affligge come un presentimento o una certezza. E mentre ti allontani dal molo, non puoi fare a meno di pensare agli innumerevoli marinai che, un giorno, si sono staccati da una barca per sempre...

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